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Oggi, quanto si sa davvero del funzionamento del clima e dei suoi cambiamenti?

 

E’ da questa osservazione che partono Enrico Brugnoli (Direttore del Dipartimento Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l'Ambiente (DTA) del CNR) e Antonello Provenzale (Dirigente di Ricerca dell'Istituto di Scienze dell'Atmosfera e del Clima (ISAC) del CNR) per capire meglio i cambiamenti climatici e quindi decidere le strategie più appropriate.

La ricerca deve fornire tutti i risultati quantitativi disponibili in modo aperto e rigoroso, per permettere lo sviluppo di strategie di gestione dei cambiamenti in corso che siano basate sulla conoscenza, e non sulle emozioni o sulla pseudoscienza.

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Per il loro forte impatto sulla società e sull'economia, alcuni argomenti scientifici suscitano più di altri l'attenzione del dibattito pubblico e dei mezzi di comunicazione. Il tema dei cambiamenti climatici è certamente uno di questi, per le sue implicazioni sulle strategie di produzione, sulle scelte economiche e sul benessere dei cittadini. In questo contesto, è necessario che la ricerca fornisca, in modo aperto e rigoroso, tutti i risultati quantitativi disponibili, per permettere scelte di sviluppo e adattamento basate sulla conoscenza quantitativa del problema.

Ma quanto si sa davvero, oggi, del funzionamento del clima e dei suoi cambiamenti?

Il clima è un sistema estremamente complicato (cioè costituito di molte componenti) e complesso (ovvero, caratterizzato da interazioni non lineari fra queste componenti), e non se ne ha ancora una piena comprensione. Tuttavia, quanto sappiamo oggi è immensamente di più di quanto si sapesse trent'anni fa, e sarebbe un grave errore pensare che non siano stati fatti progressi significativi. In breve, si sa molto, ma non tutto, ed è da questa osservazione che occorre partire per capire meglio i cambiamenti climatici, e quindi decidere le strategie più appropriate. E per capire meglio, servono dati, misure quantitative, osservazioni satellitari, e poi approcci teorici e modellistici che sappiano interpretare le informazioni ottenute. I dati disponibili, da stazioni a terra e da satellite, mostrano che negli ultimi cento anni la temperatura media globale è aumentata di circa 0,8 gradi centigradi, con una crescita assai più intensa nelle zone artiche (si veda, per esempio, la pagina web della NASA).

Ma quanto è significativo questo aumento?

In epoche diverse del remoto passato, il nostro pianeta è stato sia molto più freddo sia molto più caldo di oggi. Tuttavia, l'umanità allora non c'era, e ben altri tipi di organismi dominavano il pianeta. Ecco, dunque, un primo punto da considerare: il nostro pianeta non è in pericolo per un aumento di temperatura di qualche grado. Tuttavia, chi può rimetterci siamo noi, con la grande densità di popolazione e le nostre società avanzate, basate su infrastrutture fisse e agricoltura intensiva, che non possiamo spostare in tempi rapidi seguendo i capricci del clima. Non "catastrofe planetaria", dunque, bensì possibili cambiamenti radicali dell'ambiente e degli ecosistemi, con effetti pesanti sull'economia e sulle società umane.

I dati indicano anche che la crescita di temperatura non è un processo lineare nel tempo. Vi sono forti oscillazioni, con periodi di crescita molto rapida e periodi, come gli ultimi dieci anni, di temperature quasi stazionarie o in debole crescita. Questo ci suggerisce che le cause dei cambiamenti di temperatura siano molteplici, includendo sia diversi tipi di forzanti esterne (comprese quelle antropiche), sia meccanismi interni al sistema climatico.
L'evidenza sperimentale, ottenuta dalle misure attuali e da misure paleoclimatiche in carotaggi glaciali, indica che la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera sta superando la soglia di 400 ppm (parti per milione), un valore mai raggiunto negli ultimi ottocentomila anni. L'analisi isotopica dell'anidride carbonica in atmosfera ha inoltre rivelato che questa proviene in gran parte da combustibili fossili, ovvero che è stata immessa in seguito all'attività umana. Le leggi fisiche ci dicono che l'aumento di concentrazione di gas serra in atmosfera porta ad un aumento dell'assorbimento, e quindi della riemissione, di radiazione infrarossa, con un netto effetto di riscaldamento della superficie planetaria.

I gas serra non sono, tuttavia, l'unico attore in gioco. Gli aerosol, immessi in grande quantità dalle attività umane, hanno un ruolo essenziale in alcune regioni del pianeta, come il Sud-Est asiatico. In particolare, gli aerosol chiari (solforosi) tendono a riflettere la radiazione solare e a raffreddare la superficie, mentre gli aerosol scuri (carboniosi) tendono ad assorbire la radiazione solare, riscaldare l'atmosfera e modificarne la stabilità e, quando si depositano sulla neve, favorirne una più rapida fusione. Tutti gli aerosol, inoltre, intervengono nei processi microfisici legati alla formazione delle nubi e della precipitazione. E proprio la precipitazione, variabile cruciale per gli ecosistemi, l'agricoltura e le attività umane, è una delle quantità più difficili da misurare sperimentalmente e da stimare con i modelli numerici. Infine, i cambiamenti nell'uso del territorio, con le conseguenti modifiche nei flussi di evapotraspirazione e di assorbimento della radiazione solare, sono un altro elemento del complesso sistema di forzanti climatiche.
In aggiunta a ciò, la dinamica interna del clima, associata per esempio alle interazioni fra circolazione oceanica e atmosferica, ai processi che legano suolo, vegetazione e atmosfera, e ai complessi meccanismi di formazione delle nubi giocano un ruolo spesso difficile da prevedere, amplificando oppure smorzando gli effetti delle forzanti esterne. A causa di tali processi il clima varia spontaneamente, anche di molto, su tempi scala che vanno dalle decine ai miliardi di anni, e occorre quindi saper distinguere fra le variazioni cosiddette "naturali" e quelle di origine antropica degli ultimi centocinquant'anni.
Come si diceva all'inizio, molto si è capito, per fortuna, ma non tutto. È sbagliato sostenere che "non si sa nulla": si sa abbastanza, in modo documentato, quantitativo e rigoroso, controllabile da chiunque, per ritenere che ci sia un effettivo riscaldamento in atto e che questo sia, almeno per una parte significativa, imputabile alle attività umane, in primis l'emissione di gas serra.

Quello che si sa è dunque sufficiente per suggerire l'opportunità di sviluppare strategie di riduzione delle emissioni e di adattamento ai cambiamenti in corso, senza allarmismi ma anche senza indugi. Molto più difficile è ottenere proiezioni climatiche quantitative a livello globale, ed è oggi quasi impossibile ottenere proiezioni accurate a livello locale. Questo è particolarmente vero per i cambiamenti della precipitazione e del ciclo dell'acqua, cruciali per gli effetti che possono avere, ma molto difficili da quantificare e prevedere. Il problema, tuttavia, non è soltanto di tipo tecnologico-gestionale: un approccio di forza bruta, basato solo sull'avere calcolatori più veloci o sul creare organizzazioni di "big science" simil-industriale per lo studio del clima non risolve la questione.

 

Il problema è soprattutto scientifico: servono più dati, più analisi delle cause e degli effetti, più ricerche di base volte alla comprensione quantitativa dei molti meccanismi ancora oscuri.
I dati sono essenziali, e da sempre il CNR ha svolto un ruolo primario nella misura del clima e dei suoi cambiamenti, con stazioni di misura fisse in Italia e in aree cruciali come l'Himalaya, l'Artico e l'Antartide, con campagne di misura, con la partecipazione a progetti di osservazione satellitare e con l'effettuazione di misure di tipo paleoclimatico, fondamentali per quantificare la variabilità naturale del clima e capire come si pone il riscaldamento attuale rispetto alle variazioni nei secoli precedenti.

Senza i dati, la ricerca climatica diventa solo un gioco astratto, privo di fondamento. I dati devono poi essere messi a disposizione di tutta la comunità scientifica e delle istituzioni pubbliche, per permettere lo sviluppo di strategie di gestione e adattamento basate sulla conoscenza.

Non a caso, il CNR sta sostenendo la visione degli "Open Data", caldeggiata dall'Unione Europea e basata sul concetto che i dati ottenuti con fondi pubblici vengano restituiti alla comunità e ai cittadini. Il Progetto di Interesse NextData, gestito dal Dipartimento Scienze del Sistema Terra e Tecnologie per l'Ambiente (DTA) e finanziato dal Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca (MIUR), è dedicato alla misura del cambiamento climatico in ambiente montano e alla ricostruzione paleoclimatica negli ultimi secoli, e ha fra i suoi scopi primari la creazione di un sistema di archivi e portali, attraverso i quali i dati e i risultati della ricerca siano resi disponibili a tutti.
Tuttavia, se i dati sono la base della conoscenza, non sono da soli sufficienti per risolvere tutte le questioni. Partendo dai dati e dalle osservazioni, è necessario sviluppare la comprensione dei processi climatici, affrontando le questioni ancora aperte. Fra queste, la dinamica delle nubi e degli aerosol, le interazioni fra clima e biosfera, gli effetti dei processi fisici e chimici a piccola scala, inclusa la dinamica della turbolenza, le variazioni nel regime delle precipitazioni e la risposta dei bacini idrici, dei ghiacciai, della copertura nevosa. In particolare, le interazioni fra processi a grande scala, riprodotti dai modelli climatici, e processi a piccola scala, non risolti o solo superficialmente rappresentati nei modelli, sono uno dei punti chiave da affrontare per migliorare la comprensione della macchina climatica, e quindi la nostra capacità di ottenere proiezioni accurate. Molti di questi processi determinano la dinamica del ciclo dell'acqua e i suoi cambiamenti, un argomento centrale, e assai complicato, della ricerca climatica attuale. Da sempre, il CNR è attivamente impegnato su molti di questi temi, che possono essere affrontati e risolti solo con un continuo confronto fra dati e sviluppi teorici, con la collaborazione internazionale e con l'ingegno, la competenza e la passione individuale dei ricercatori che studiano questi argomenti.

 

Articolo tratto da:  

Divulgare.cnr, Ufficio Divulgazione del CNR - http://www.urp.cnr.it/divulgazione/)

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